Beni confiscati alle mafie. A 26 anni dalla legge che ne ha regolamentato il riuso pubblico e sociale in Italia (legge Rognoni – La Torre e successiva legge 109 del 96), i numeri fotografano un’opportunità disattesa e spingono a riflettere sulla necessità di rimettere mano a una macchina burocratica che avrebbe davvero bisogno di un tagliando. Basti pensare che su oltre 35 mila immobili confiscati nel nostro Paese, per un valore complessivo di 32 miliardi di euro nel 2019 secondo l’ultimo rapporto Eurispes, la metà (17 mila) sono ancora da assegnare e altrettanti sono già destinati agli enti territoriali. Sconcertante è il dato sulle attività economiche: ben 1493 aziende confiscate (il 93% del totale) sono state liquidate; 96 vendute e soltanto 5 risultano attive.
Ma per chi ogni giorno si sporca le mani sul campo, questo cosa significa? Come sono i rapporti con le amministrazioni comunali? Quali le principali criticità di gestione per gli enti di Terzo settore? Quali sono le opportunità, dal punto di vista dell’impatto sociale e per lo sviluppo economico dei territori, derivanti dal loro riutilizzo?
Mentre è aperto il dibattito sul nuovo Bando dell’Agenzia per la Coesione territoriale che, nell’ambito del Pnrr, assegnerà 250 milioni di euro per la valorizzazione dei Beni confiscati nelle regioni del Mezzogiorno, i referenti di quattro progetti sostenuti dalla Fondazione CON IL SUD (una piccola rappresentanza dei 105 beni confiscati valorizzati sostenuti negli ultimi 10 anni) raccontano la loro esperienza.
Servizio a cura di Roberta Moretti, Tommaso Armati, Carmen Baffi
Si ringraziano: Conny Maldonato – Cooperativa sociale ALI Consorzio Ulisse – Palermo
Pietro Fragasso – Presidente Cooperativa sociale Pietra di Scarto – Cerignola (Fg)
Antonio Capece – Direttore di Villa Fernandes – Portici (Na)
Simmaco Perillo – Presidente Consorzio NCO – Aversa (Ce)